giovedì 24 marzo 2011

APPELLO ALLA RESPONSABILITA' NAZIONALE ED INTERNAZIONALE


Noi iscritti al circolo SEL Andria consideriamo fondamento della politica estera italiana l'articolo 11 della nostra Costituzione, ed è alla luce di quanto contenuto in quell'articolo che abbiamo sviluppato un dibattito al nostro interno concernente i fatti libici in corso.

L'obiettivo primario dell'intervento internazionale dovrebbe essere la protezione dei civili e la pacificazione dell'area, al fine di permettere autonomamente al popolo libico di procedere a quelle riforme necessarie al suo benessere con la costituzione di un nuovo governo liberamente scelto dallo stesso.

La Risoluzione ONU 1973, adottata tardivamente, e' condivisibile nella parte in cui si chiede l'istituzione immediata di una tregua e la fine completa delle violenze ed attacchi ai danni dei civili, come anche il rafforzamento dell'embargo sulle armi verso la Libia. La suddetta Risoluzione, tuttavia, contempla anche l'autorizzazione all'uso di" tutti i mezzi necessari a proteggere i civili e la aree popolate dai civili": questa vaga e quanto mai ampia possibilità che gli Stati membri si sono data, non specifica né i limiti di un ormai effettivo intervento militare, né chiarisce le modalità ed i ruoli dei Paesi protagonisti dell'intervento e si sta applicando nel momento in cui il governo degli insorti non ha più il controllo di buona parte dei territori libici.

Peraltro si è andati oltre la no-fly zone sia in termini d’intensità di fuoco che di geografia di obiettivi. L'escalation di violenza è angustamente percepita come inevitabile, sentite anche le intenzioni di procedere con le operazioni via terra. La domanda che ci poniamo a pochi ma pesanti giorni dall'inizio dei bombardamenti, che hanno colpito anche una delle residenze del dittatore Gheddafi, è se ci sono altri mezzi da esperire, strumenti alternativi o combinati che diano un senso di coerenza alle azioni volte alla pacificazione dell'area.

Una risposta plausibile ci viene dalla stessa Carta delle Nazioni Unite, che prevede, oltre al capitolo VII che notoriamente autorizza anche all'uso della forza, anche il capitolo VI, in particolare l'art. 34, che consente al Consiglio di Sicurezza di fare indagini ex post rispetto alla nascita di una controversia, per verificare se vi siano le condizioni reali per andare oltre l’attrito internazionale e riportare la questione su un piano politico. Eppure la richiesta della stessa Unione Africana di inviare una missione di mediazione internazionale composta da rappresentanti di stati africani è stata respinta l'altro ieri dall'ONU. Una decisione ingiustificabile, visti anche i termini con cui l'UA aveva lanciato la proposta, ovvero come un'azione di pieno impegno a coordinarsi ed a collaborare con la comunità internazionale secondo quanto stabilito dalla risoluzione ONU e avendo come obiettivo prioritario quello di percorrere ogni via possibile per una soluzione pacifica della controversia e di prendere in considerazione le legittime aspirazioni del popolo libico.

La comunità internazionale, anche quella che rappresenta la cosiddetta cabina di regia del CDS, non può non tener conto della voce autorevole dell'Unione Africana, che ha da subito manifestato, essendo stata la prima a proporre ufficialmente un cessate il fuoco bilaterale, il giusto approccio ad un processo che coinvolge non solo la Libia, ma molti altri Stati africani, un processo di rivoluzione non violenta che va sostenuto con tutti i mezzi fuorché altra violenza.

Riteniamo sia dunque urgente fermare i bombardamenti, riaprire un tavolo di trattative con la presenza attiva della Lega Araba, dell'Unione Africana e della Conferenza Islamica, realizzare un corridoio umanitario per giungere al più presto ad una pacificazione dell'area.

Dopo aver assistito in questi giorni alle indecisioni degli Stati Europei, alle divergenze tra Francia e Italia in merito al comando delle operazioni, all'impegno a tempo determinato degli USA ed al defilarsi totale nelle ultime ore da parte della Germania, che già si era astenuta al voto della risoluzione ONU, assistiamo oggi all'accordo apparente delle cancellerie dei vari Stati sul coinvolgimento della NATO alla missione.

A nostro parere, e come molti analisti hanno sostenuto, l’intervento dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico potrebbe risvegliare pericolosi sentimenti panarabi che darebbero man forte allo stesso dittatore libico, il quale ha avuto modo di affermare che quella in corso è una nuova crociata dell’occidente contro il mondo arabo.

Il coinvolgimento di parti terze nella gestione della crisi innescatasi introdurrebbe un elemento importante per il superamento della fase di impasse: il ripristino a pieno titolo di un ruolo della Lega Araba e il recupero della partecipazione dell'Unione Africana consentirebbero di evitare di considerare quello in atto come uno “scontro tra civiltà”.

Non possiamo e non vogliamo dimenticare ciò che è accaduto durante e dopo gli ultimi interventi umanitari (Kosovo, Iraq, Afganistan). Non ci arrendiamo all'idea che la vera ricostruzione della libertà di un popolo debba necessariamente passare per lo sfruttamento delle loro risorse , materiali ed immateriali, da parte del consesso di Stati occidentali. Non accettiamo che la Libia diventi un nuovo quartier generale per la gestione degli affari capitalisti in seno alla vasta area geografica che da mesi si sta ribellando agli effetti di repressione politica interna, ma anche di quella economica globale.

Chiedere responsabilità alla comunità internazionale significa chiedere di fare un passo indietro nell'analisi di quanto sta accadendo in molti Paesi del mediterraneo e ripensare all'humus della politica estera condivisa: il mantenimento della pace si può realizzare attraverso politiche permanenti di dialogo e condivisione di interessi, non di prevaricazione economica, sostegno alle dittature e, all'uopo, uso della forza a scopi "umanitari".

L'Italia, sin dal principio delle ostilità in Libia, si è rivelata incapace di svolgere un ruolo responsabile: siamo stati incapaci di farci promotori di un'interlocuzione fra le parti che è necessaria per la realizzazione del "cessate il fuoco". E potevamo farlo proprio in virtù di quegli accordi di amicizia e non belligeranza che, sebbene in maniera controversa, ci vedevano in una posizione "privilegiata" con la dittatura di Gheddafi.

Inoltre le titubanze del Ministro degli Esteri Frattini in merito alla sospensione del rifornimento di armi ci ha posto in una condizione di imbarazzo davanti alla comunità internazionale.

L'Italia dovrebbe farsi ora portavoce di una prospettiva di negoziazione che comprenda l'Unione Africana e la Lega Araba, proprio e soprattutto per il suo passato coloniale in Libia. E dovrebbe, seguendo il precetto dell'art.11, par.3, promuovere e favorire il ruolo di quest'ordine di organizzazione internazionale, ovvero di origine Africana, tra le varie organizzazioni rivolte alla pace e alla giustizia tra le nazioni.

In questa tragica situazione che vede migliaia di profughi provenienti da tutta l'area del Maghreb, il nostro Paese dovrebbe ripensare l'accoglienza ai richiedenti asilo secondo quanto espresso dall'ampia lettera dell'art.10 della nostra Carta costituzionale, che riconosce detto diritto allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla stessa Costituzione italiana. Contemporaneamente gli Stati membri dell'Unione Europea hanno il dovere di attivarsi concretamente affinché l'azione di soccorso sia congiunta e sia finalizzata a migliorare in tempi ragionevoli le condizioni dei migranti, già duramente provati dalle difficili condizioni di vita dei paesi di provenienza e dal viaggio disumano affrontato per raggiungere le nostre sponde.

Per essere crocevia di pace in tutto il Mediterraneo, l'Italia deve chiedere di fermare i bombardamenti e rilanciare i negoziati di pace. L'ingerenza dei Paesi occidentali potrebbe sfociare in una estremizzazione della posizione libica in senso integralista: un'offesa alla sovranità del popolo libico e una sconfitta per quel vento di democrazia che soffia forte nel nord-Africa. Una opportunità per la pace che non possiamo lasciarci sfuggire.

Sel Andria

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