Impiantata in una situazione del tutto nuova, ho avuto una
posizione privilegiata per osservare atteggiamenti vecchi, ma mascherati da una
“modernità” effettivamente inesistente, amplificati sensibilmente dall’ambiente
poco familiare.
È la giornata internazionale della donna, io sono in una
facoltà di Scienza Politiche e le mie colleghe dichiarano solennemente: “Io non
celebro una festa sessista!”.
Poi, però, ci sediamo e cominciano a criticare le cosce di
una ragazza (peraltro già magrissima), a spettegolare su quell’altra ragazza
che si è lanciata sul ragazzo di una sua amica e a ridere divertite a quel
collega che ci dice: “donna schiava, zitta e lava!”. Bè, mi sono sentita non
poco offesa da questo modo di fare crudelmente femminile.
L’8 Marzo mi sono accorta che i veri sessisti non sono gli
uomini, ma proprio noi donne su noi stesse.
Come spugne, abbiamo assorbito un modo di fare e di pensare
prettamente maschile e siamo cadute nel tragico tranello che ci ha fatto
abbassare la guardia: ci hanno convinte che per essere Donne dobbiamo essere
accettate dall’uomo, approvate come oggetti su di una catena di montaggio,
giudicate come se fossimo di nascita in errore.
E poi, parliamoci chiaro: non si può sperare che il solo
dichiararsi femminista e partecipare a qualche manifestazione possa bastare per
la lotta alla parità dei sessi. Veniamo da una tradizione sociale che ha
disegnato la donna come emblema della subordinazione e dell’accondiscendenza
talmente lunga che non basta usare parole diverse, è necessario buttare il
vecchio e fare spazio a nuove basi su cui poggiare una società realmente
paritaria.
Se negli anni ’70, a piccoli passi, si era riusciti a
procedere verso una soluzione, abbiamo mollato la presa facendoci riporre di
nuovo sullo scaffale delle bambole e ci siamo dette che i progressi li abbiamo
fatti, ci siamo lasciate dire che comunque non siamo più discriminate come un
tempo, che oggi siamo ll’università, a volte ricopriamo cariche prestigiose,
perciò non dobbiamo più giocare alle piccole rivoluzionarie, basta, stiamo
zitte!
Ebbene, oggi ci guardiamo e ci giudichiamo con gli occhi di
un uomo, per piacerci applichiamo la lezione di Mediaset, come Sara Tommasi
(bocconiana laureata in economia), la quale ha affermato che investire sul
proprio corpo è più conveniente e oggi è imprenditrice di se stessa.
Siamo giunte al punto in cui, per controsenso, per sentirci
realmente emancipate siamo disposte a mettere da parte il nostro essere donna e
la nostra femminilità (che è cosa ben diversa dalla volgarizzazione del nostro
corpo) per indossare abiti maschili, negando la nostra naturale essenza.
Io rivendico il mio diritto ad essere donna nel senso che
non voglio più essere posta su di un piedistallo un giorno all’anno, ma voglio
poter raggiungere lo stesso gradino di un mio pari maschile senza dover
barattare la mia femminilità né tantomeno farne un uso commerciale.
Perciò forza donne, la forza è donna!
Maria Chiara Pomarico