sabato 20 novembre 2010

Mentre Andria diventava Città...


Venerdì 19 Novembre Andria diventava Città e per questa ricorrenza, a parte l’addobbo a festa della Casa del Popolo, con annesse hostess (com’è classico fare di una certa parte politica), a consegnare il titolo di Città è sceso da quel di Roma il Ministro per gli Affari Pugliesi, Raffaele Fitto.

Proprio nello stesso giorno, circolava la notizia che il suddetto Ministro, nel praticare lo sport di impugnare leggi della Regione Puglia, ha impugnato dinnanzi alla Consulta anche gli «adempimenti» con i quali l’amministrazione guidata da Nichi Vendola intendeva adeguarsi alle direttive richieste da Palazzo Chigi per la sottoscrizione del piano . La prima, predisposta dall’assessore al Bilancio Michele Pelillo, riguarda le coperture previste dal Bilancio autonomo per il triennio di vigenza del piano dei tagli; la seconda, invece, «congela» le internalizzazioni. Come dire, un Ministro Pugliese, che dice di amare tanto la sua regione e i pugliesi,sta facendo di tutto per far commissariare la Sanità pugliese, solo per screzi politici con l’attuale Giunta regionale.

A parte questa breve digressione, vogliamo raccontarvi quello che è accaduto nel pomeriggio del 19 Novembre. Alcuni di noi, dopo aver letto la notizia sopra accennata, e dopo essersi ricordati della venuta di Fitto ad Andria, hanno pensato di distribuire un volantino per informare i cittadini di quello che Fitto stesse regalando alla nostra regione.

Armati di tanta buona volontà e di un centinaio di volantini, e pensando di essere in una delle cosiddette “democrazie occidentali” in cui è possibile esprimere liberamente il proprio pensiero, abbiamo cominciato la nostra attività di proselitismo, sotto Palazzo di Città. Ebbene, dopo aver distribuito qualche volantino, siamo subito stati fermati dagli agenti della Ps, che dopo aver visionato il contenuto del volantino, ci hanno invitato, perché senza autorizzazione, ad andare a distribuire volantini su Via Bovio. Siccome non era nelle nostre intenzioni rovinare la cerimonia che doveva APPARIRE perfetta, ci siamo allontanati dubbiosi e con un interrogativo: come mai sotto Palazzo di Città è necessaria l’autorizzazione e invece in Via Bovio non è necessaria?

Non è tutto.

Dopo aver assistito alla “militarizzazione” (eccessiva per un rappresentante del “Popolo”, normale per chi ha paura del malcontento del “Popolo”) della zona sottostante Palazzo di Città, con transenne e un dispiegamento di forze dell’ordine inaudito, abbiamo chiesto ai due Vigili Urbani, che piantonavano la scala di accesso al municipio, di assistere alla cerimonia e ci è stato impedito perché “la sala è piena”, mentre altri salivano perché accompagnati da “rappresentanti” istituzionali e non. Sembrava più una festa per pochi invitati che non per la Cittadinanza, come diceva il manifesto.

Dopo aver atteso che qualcuno scendesse, siamo entrati nell’aula consiliare.

Mentre noi, rispettosi delle Istituzioni presenti in aula, ascoltavamo in silenzio le parole del Ministro, qualche anziano ha avuto da ridire ad alta voce e la colpa di ciò è stata attribuita a noi, dagli agenti della Ps che ormai ci controllavano a vista. Così ci hanno “invitati” a tacere e per intimorirci ci hanno piazzato due agenti dietro, come se fossimo dei sovversivi, che sono stati in nostra compagnia per quegli ultimi minuti che restavano della cerimonia.

Terminando, pur rispettando il lavoro che egregiamente le forze dell’ordine svolgono giornalmente per garantire la nostra sicurezza, sinceramente non ci aspettavamo questo trattamento proprio nella giornata in cui Andria diventava Città.

Abbiamo sentito sulla nostra pelle il disagio di chi è limitato nella sua libertà di partecipazione civile.

Se questi sono i presupposti della nascita della Città, preferivamo restare un Comune.

F.to I militanti di SEL Andria


martedì 16 novembre 2010

17 Novembre: riprendiamoci il futuro

Appello della Rete della conoscenza



Agli studenti e alle studentesse
Ai lavoratori e alle lavoratrici
Alla società civile tutta

Il 17 Novembre del 1939 gli occupanti nazisti uccisero 9 studenti all'Università di Praga e i loro insegnanti. Il 17 Novembre del 1973 un carro armato abbattè il politecnico di Atene per reprimere la rivolta studentesca contro la dittatura militare. Il 17 Novembre 1989 in Cecoslovacchia la commemorazione del '39 divenne l'inizio della rivolta contro il regime.

17 NOVEMBRE 2010 – International day of students
Appello italiano

Il futuro della nostra generazione non è mai stato così precario. Dopo aver salvato le banche con ingenti investimenti di denaro pubblico, i Governi hanno ricominciato con la spensierata politica di deregulation e privatizzazioni che aveva generato il disastro, sottovalutando l'emergenza sociale generata dalla crisi e dall'esaurimento delle risorse energetiche.
L'auspicabile inversione di tendenza basata su una libera conoscenza, su un rinnovato ruolo del pubblico in economia e sulla sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo non è mai avvenuta.

La crisi economica, al contempo, si è trasformata in alibi per nascondere il degrado sociale, politico e culturale del nostro paese, ha accelerato lo smantellamento dei servizi sociali e del sistema formativo in atto ormai da 30 anni. Quelle in cui passiamo le nostre giornate sono ormai non-scuole e non-università, svuotate di contenuti, servizi e diritti, e di cui si è smarrito non solo il funzionamento ma anche e soprattutto la funzione, la missione culturale, civile e sociale.
Dietro la retorica della meritocrazia e dell'efficienza si nasconde un drammatico gioco di potere sulle spalle della nostra generazione.

I tagli alla scuola, l'università e la ricerca pubblica non sono solo correttivi di bilancio, sono un taglio al nostro futuro, sono un taglio al futuro del nostro paese. Non serve fare l'elenco di tutti i provvedimenti che hanno portato a questo disastro, siamo convinti che sia sotto gli occhi di tutti/e la progressiva condizione di dismissione in cui versano i luoghi della formazione. Una società più ignorante è una società meno libera, dove le coscienze sono ostaggio del pensiero dominante, dove le nostre vite hanno un valore solo perchè consumiamo ciò che il mercato ci impone. Questa è la logica che sta sedimentando nei nostri territori sempre più discriminazione, intolleranza, esclusione e ingiustizia sociale.

Sin dalle grandi manifestazioni dell'Onda del 2008 ci mobilitiamo per denunciare il disinteresse della politica per lo sfascio in cui versano scuole e università, nonostante il permanente stato di agitazione di migliaia di studenti e studentesse il Governo ha deciso di proseguire su una strada miope. Il nostro non è più un paese democratico, alle istanze che hanno riempito le piazze ha corrisposto una reazione che oggi si dimostra essere più feroce delle più tristi previsioni. Le sofferenze delle nuove generazioni, l'incertezza per il futuro, la condanna alla precarietà non sono più una questione pubblica, la politica verso questi temi è vuota di senso, distante, autoreferenziale, impegnata troppo spesso a difendere le proprie rendite di posizione.

Sarebbe infantile, oggi, illudersi che sia sufficiente difendere i luoghi della formazione così come li conosciamo, non vogliamo costruire “scuole e università d’oro in un mondo di merda”. Noi esigiamo un reale cambiamento ma allo stesso tempo siamo convinti che sia arrivato il momento di praticare l'alternativa nei luoghi reali in cui la nostra società si compone. Non possiamo più delegare all'attuale classe politica un così arduo compito, è arrivato il momento per ognuno di noi di fare la nostra parte.

Ciò che è rimasto di scuola e università è la loro natura di luoghi collettivi, in grado nonostante tutto di offrire la possibilità di un'esperienza quotidiana condivisa a milioni di persone; proprio nei luoghi della formazione siamo convinti si possa sperimentare e condividere quelle pratiche di comunità, solidarietà e mutualismo che si contrappongono in maniera radicale alla frammentazione e alla competizione che la precarietà ci impone. Questa opportunità, resa manifesta dalle mobilitazioni di queste settimane, unita alla debolezza del Governo costretto a rinviare il ddl Gelmini, va colta senza esitazioni. In queste settimane siamo attivamente impegnati nel percorso di costruzione di un'AltraRiforma delle scuole e dell'università, un percorso partecipato teso alla costruzione di un vero cambiamento che parta da chi questi luoghi li vive quotidianamente.

Ma questo lavoro, perché abbia senso, dev’essere un tassello di un percorso più ampio. Abbiamo partecipato in massa alla manifestazione del 16 ottobre indetta dagli operai della Fiom perchè siamo convinti della necessità di rilanciare una grande battaglia generale di trasformazione di un'Italia ridotta in frantumi. Vogliamo rispondere all'attacco ai nostri diritti che vede nel collegato lavoro, approvato poche settimane fa, solo l'ultima rappresentazione legislativa. Vogliamo che ci vengano restituiti i fondi per il diritto allo studio, furto perpetrato negli anni dalle ultime finanziarie, ma non solo.
Vogliamo contrapporre alla guerra tra poveri un nuovo vissuto di solidarietà e cooperazione. Vogliamo che la battaglia in difesa del sapere intraprenda una strada nuova: quello della Ripubblicizzazione.

Così come l'acqua e il lavoro anche la conoscenza è vittima dello sfruttamento del mercato. Per questo la nostra idea di ripubblicizzazione passa attraverso un reale protagonismo dei cittadini a tutti i livelli decisionali. Solo così si può parlare di vera democrazia e di liberazione dei beni comuni. Vogliamo essere protagonisti del nostro tempo, liberi dai condizionamenti sociali e familiari, perciò rivendichiamo un nuovo welfare universale che ci liberi dalla precarietà e dalla schiavitù, un reddito di formazione e di cittadinanza che tramite servizi pubblici e forme di sostegno, ci sappia garantire l’autonomia che meritiamo nelle nostre scelte e nella determinazione dei nostri percorsi di vita. Chiediamo di entrare davvero in Europa. Con i nostri fratelli e coetanei francesi, che proprio in questi giorni si stanno mobilitando, più che la moneta unica condividiamo proprio l'incertezza per il nostro futuro messo a rischio dalle politiche neoliberiste e reazionarie dei governi del mondo, incapaci di dare una risposta reale alla crisi da loro provocata.

Scendiamo in piazza il 17 Novembre, in Italia come in tutto il mondo, perchè siamo convinti che la conoscenza sia uno straordinario strumento di liberazione di tutti e tutte. Scendiamo in piazza perchè crediamo che puntare su una scuola, un'università e una ricerca pubblica significhi riconoscerne lo straordinario valore sociale, l'unica possibilità per immaginare un'uscita da tutte le crisi tesa al miglioramento delle condizioni di vita di ognuno. Scendiamo in piazza, e chiediamo a tutti i cittadini di fare lo stesso, perchè questa non può essere solo la nostra battaglia ma al contrario, è la battaglia di chi crede che un'alternativa all'Italia del declino sia possibile anzi necessaria.

Scendiamo in piazza il 17 Novembre, in occasione della giornata internazionale degli studenti e delle studentesse, non a caso. Negli anni questa è diventata una data simbolo di studenti e studentesse che hanno pagato la vita per esprimere la propria indignazione contro ogni forma di oppressione e autoritarismo. Noi ci sentiamo interpreti di questo spirito che vive in noi.

In Italia scendiamo in piazza il 17 Novembre per lanciare una nuova e pacifica battaglia di liberazione, la nostra.





Art. 88 e dintorni


Nel pomeriggio ho fatto le mie ricerche riguardo alla possibiltà dello scioglimento della sola Camera dei Deputati paventata dal (spero ancora per poco) Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Cerco, cerco... pareri, sentenze, opinioni...

Insomma... non riesco a capacitarmi della possibilità che si potrebbe aprire all'orizzonte.

In Buona sostanza, rilevo che l'art. 88 della Costituzione Italiana prevede tra i poteri di scioglimento delle Camere affidati al Presidente della Repubblica la anche sola facoltà di esercitare questa esclusivamente per una delle due Camere...

Ebbene si... ma non mi scoraggio... perché ogni buon libero pensatore si sarà posto come me il problema, del tutto plausibile, del "se a vincere le elezioni fosse una maggioranza differente su ciascuna camera?" (in pratica il fenomeno della coabitazione che già l'ordinamento francese ha visto per ben tre volte nella sua storia)... insomma... non di certo una bella prospettiva, per uno Stato come il nostro che necessita ora più che mai di un cambio di governo per porre mano ai provvedimenti che a gran voce si richiedono... dai precari, ai disoccupati, ai pensionati... ma anche dalle imprese.

Se però il testo della costituzione recita quanto detto, è cercando ancora che trovo delle risposte: in un parere pubblicato sul sito di una casa editrice , si evidenzia come l'art. 88 già in passato sia stato discusso in dottrina: difatti la maggioranza di questa ritiene che tale disposizione sia inconciliabile con la modifica subentrata ad opera della legge costituzionale del 9 febbraio 1963, n. 2, che istituisce, tra le altre, la parificazione della durata delle due camere (nella carta costituzionale approvata nel 1948, la camera aveva una durata di 5 anni e il senato di 6; le elezioni sfalsate incrementavano la possibilità di maggioranze incoerenti).

Nonostante la mancata modifica dell'articolo 88 della costituzione, la dottrina giunge alla conclusione che la riforma del 1963 ha introdotto nel sistema precedente delle modifiche così radicali e sostanziali da indurre a sostenere, forse, troppo audacemente, che "essa ha anche implicitamente abrogato l'articolo 88 della Costituzione, appunto, lì dove esso prevede la possibilità di sciogliere anche una sola delle assemblee elettive".

Questa diatriba dottrinale può interessare o meno, ma l'attualità rende evidente che Mister B. pur di non abbandonare i palazzi del potere è disposto a forzare la macchina istituzionale...

Staremo a guardare Napolitano che, mi auguro, non firmerà...


Valentina Lomuscio

sabato 13 novembre 2010

A noi piace porta a porta


Ancora una volta assistiamo a dichiarazioni sulla problematica rifiuti, che a definir stravaganti è poco.

Il movimento Fare Ambiente sostiene che per incrementare le % di Rd è necessario aumentare il numero di isole ecologiche in Città, riconoscendo, a chi va a conferire nelle suddette isole, uno sgravio sulla Tarsu.

Ebbene, è stato affermato che incrementare il numero di isole ecologiche ha un costo minore rispetto alla raccolta rifiuti porta a porta. Non so a che tipologia di isola ecologica facesse riferimento la responsabile del movimento, ma se si tiene in considerazione un’isola ecologica come quella di Via Stazio, facendo semplici calcoli matematici, il costo dell’incremento delle isole ecologiche sarebbe pari ad una cifra con sei zeri, cioè più o meno lo stessa somma necessaria per realizzare il porta a porta nella Città di Andria. Perché si dovrebbe finanziare l’incremento di isole ecologiche, che in passato non hanno funzionato o hanno funzionato ben poco? Perché, invece, non si deve sostenere la raccolta dei rifiuti porta a porta che, nelle Città in cui è sta applicata ha fatto schizzare la Rd al 50%,nel giro di pochi mesi? Si sa la politica è fatta di scelte, e noi preferiamo il porta a porta perché crea lavoro più delle isole ecologiche, perché è più efficace per raggiungere elevate percentuali di Rd e perché si eviterebbero inutili colate di cemento.

Inoltre, nella nota diramata da Fare Ambiente, si legge: ” … Puntare dunque a riconoscere uno sgravio della tassa che tenga conto della capacità di differenziare dei cittadini e non solo dei metri quadrati della casa o del ripostiglio”. Un po’ di chiarezza su questa cosa sarebbe opportuna, perché che senso ha, continuare a pagare la Tarsu con qualche sconto irrisorio, quando la normativa vigente prevede il passaggio da tassa a tariffa che agevolerebbe le famiglie “virtuose”? L'istituzione della tariffa è ascrivibile all'art. 49 del decreto Ronchi, il cui decreto attuativo è il DPR 158/99. Il Testo unico all'art. 238 ha abrogato la tariffa "Ronchi" e ne ha definito una nuova demandando la definizione dei criteri di calcolo ad un decreto attuativo non ancora emanato. Fino alla sua emanazione, ai sensi del comma 11 del citato articolo, si considerano vigenti le precedenti discipline regolamentari. Il comma 184 dell'art. 1 della l. finanziaria 296/2006, così come modificato dall'art. 5 del Dl. 208/2008 ha prorogato il regime di prelievo ante 2006, in materia di rifiuti, al 2009 in attesa dell'emanazione delle disposizione attuative del Tu.

In definitiva, allo stato attuale, è facoltà del comune/ato decidere se passare dal regime di tassa a quello di tariffa.

L’auspicio è che l’Amministrazione comunale non accolga la disponibilità del movimento a sostenere una campagna di sensibilizzazione intitolata “più differenzi e meno paghi recandoti alle isole ecologiche”, altrimenti sarebbe l’ulteriore dimostrazione che si sperpera denaro pubblico, per campagne di comunicazione che non sortiscono alcun effetto sulla società o i cui risultati rimangono segreti (vedi campagna sulla Villa Comunale).

Finendo, SEL ribadisce il proprio SI alla raccolta differenziata porta a porta, che deve essere inserita nel nuovo bando per l’aggiudicazione della gestione del servizio rifiuti cittadino (se può servire abbiamo già pronto il piano industriale per far ciò), e al passaggio da Tassa a Tariffa ,così come disposto dalla legislazione vigente, che premierebbe le famiglie più “virtuose” che si differenziano da chi non differenzia.


Michele Lorusso

lunedì 8 novembre 2010

Non passeremo alla scoria


L’8 Novembre ricorre l’anniversario di un avvenimento importante per l’Italia, che ha segnato una vero e proprio cambiamento rispetto al passato. Certamente non mi riferisco all’anniversario di una ricorrenza ideologica e di scarsa consistenza nel sentire popolare, quale la Caduta del muro di Berlino (imposta con una legge nazionale approvata in fretta e furia) che l’Amministrazione comunale festeggia con soldi della collettività, ma mi riferisco a un avvenimento avvenuto due anni prima dell’8 Novembre del 1989, l’8 Novembre del 1987, cioè il referendum che sanciva il definitivo abbandono del nucleare in Italia.
E’ notizia di questi giorni, che il Governo Berlusconi, fregandosene ancora una volta della volontà popolare espressa tramite il referendum, che portò all’abbandono del nucleare in Italia, abbia cominciato a porre i primi tasselli per permettere il ritorno del nucleare. Infatti, si è proceduto alla nomina del Presidente e dei quattro membri del collegio dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, che tra le altre cose, avrà il compito di individuare i siti che ospiteranno le nuove centrali.
Una riflessione su queste nomine sarebbe opportuna e andrebbe fatta all’interno del partito di riferimento del Presidente di quest’Agenzia, cioè il Sen. del Pd, Umberto Veronesi.
Una presa di posizione del suddetto partito sarebbe necessaria per capire definitivamente se sia favorevole o meno al ritorno del nucleare in Italia.
SEL ha sempre sostenuto la propria contrarietà a questo tipo di produzione di energia per diversi motivi. Eccone alcuni:
1. l’uranio non è una risorsa né rinnovabile né sostenibile, limitata nelle quantità e nel tempo, che per di più ha visto i suoi costi aumentare in modo vertiginoso;
2. non è affatto senza emissione di CO2 perché ne produce per l’estrazione del combustibile, durante la costruzione della centrale e nella fase del suo smantellamento;
3. nessuno dei problemi segnalati dalla tragedia di Cernobyl è stato risolto e quindi il nucleare civile continua ad avere problemi di sicurezza per le popolazioni non risolti anche durante il funzionamento ed un enorme impatto ambientale legato alla produzione di scorie radioattive che inevitabilmente si accumulano nell’ecosistema e graveranno sulle future generazioni per migliaia di anni. Va ricordato che in presenza di impianti nucleari è obbligatorio un piano di evacuazione delle popolazioni in caso di incidente grave, con l’abbandono di ogni attività, con pesanti restrizioni per le persone come vivere sigillati in casa;
4. espone il mondo a rischi di proliferazione delle armi nucleari e al terrorismo, del resto questo è l’argomento che viene portato contro l’Iran poiché la tecnologia in uso è stata pensata per produrre plutonio e la generazione di energia elettrica ne è un sottoprodotto;
5. non è in grado di risolvere né il problema energetico né quello del cambiamento climatico, infatti le risorse di uranio, già oggi scarse, non sarebbero sufficienti di fronte ad un aumento ulteriore della domanda ed è quindi inutile sperare di aumentare la capacità installata in maniera tale da coprire una quota significativa della nuova domanda di energia, né di sostituire la quota fossile;
6. ha dei costi economici e finanziari diretti ed indiretti troppo elevati che in realtà gravano sulla società e sulle finanze pubbliche e inoltre è una tecnologia che usa e spreca enormi quantità d’acqua;
7. comporta un modello di generazione di energia centralizzato, basato su centrali di elevata potenza, che non garantiscono sicurezza e tanto meno assicurano il diritto all’energia diffusa nel territorio. Infatti, il nucleare è un modello che richiede sistemi di gestione autoritari, centralizzati e antidemocratici. Non a caso le centrali nucleari civili sono considerate come gli altri siti energetici alla stregua di siti militari.
Ormai è matura una scelta energetica a favore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili che un programma di incentivi pubblici e l’utilizzo della leva fiscale possono e devono promuovere.
Uscire dal petrolio e dalle energie fossili e non rinnovabili senza il nucleare si può, grazie ad un’alternativa energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio, anziché su un ingiustificato aumento dei consumi e sull’uso delle fonti fossili e di quella nucleare, come propone il Governo. Non aspetteremo che siano individuati i siti nucleari per opporci a questa scelta e non lasceremo sole le località che rischiano di subire una decisione antidemocratica, calata dall’alto e per di più militarizzata nell’attuazione.
Il paese può e deve essere più efficiente e non sprecare energia.
La politica energetica che noi indichiamo riduce la nostra dipendenza energetica, sviluppa la ricerca e l’innovazione nelle attività produttive, fornisce i servizi energetici usando fonti rinnovabili che non alterano il clima e che sono diffuse sul territorio e quindi facilmente controllabili dalle popolazioni, oltre a promuovere un diverso sviluppo, creando nuova occupazione di qualità.
Questa è l’alternativa che proponiamo.
Sono queste le ragioni per cui decidiamo di sostenere la legge d’iniziativa popolare per lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili.
Nelle prossime settimane scenderemo in piazza per illustrare la legge ai cittadini e per raccogliere le firme necessarie per presentare in Parlamento la suddetta legge d’iniziativa popolare.


Michele Lorusso

mercoledì 3 novembre 2010

Contro Berlusconi, candidiamo Vendola. Subito


Di Angela Azzaro

Gli Altri non è stato tra i giornali che hanno speculato sugli scandali sessuali del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Abbiamo tentato di essere da una parte critici, molto critici nei confronti dell’immagine del rapporto uomo donna che veniva fuori da quelle vicende, denunciando dall’altra certo moralismo della sinistra che incapace di contrastare il premier sul piano delle proposte cercava di incastrarlo senza però mai dare segnali forti di diversità.

Insomma non abbiamo gridato al lupo al lupo troppe volte, facendo sì che il lupo continuasse indisturbato a legiferare nel peggiore dei modi oppure a non legiferare per nulla lasciando che il Paese continuasse a essere travolto da una crisi economica di cui ancora non avvertiamo in pieno le conseguenze.

A maggiore ragione oggi, davanti all’ultima dichiarazione del presidente del Consiglio, ci sentiamo in diritto ma soprattutto in dovere di prendere una posizione decisa contro di lui. Forse molti di voi sanno cosa ha detto. Ha detto che è meglio amare le belle donne che essere gay. Il riferimento è a Ruby, la ragazza marocchina per cui il premier potrebbe essere indagato per abuso d’ufficio.

E’ una frase inaccettabile. Inaccettabile da parte di chiunque, chiunque l’abbia pronunciata, ma ancora di più se a pronunciarla è stato il capo del governo. Non c’è battuta che tenga. E’ l’espressione della peggiore omofobia: discrimina, manda un messaggio sbagliato, ci rende ridicoli agli occhi del mondo, perché in nessun altro grande paese del mondo verrebbe detta o accettata una frase come questa. E’ una frase che riempie di fango l’immagine di qualunque liberale e che nessun liberale può pronunciare.

C’è uno squallido filo rosso che lega i comportamenti privati del premier a questa ultima boutade. Il filo rosso è dato dal disprezzo delle donne, dei gay, di tutti coloro che non rientrano nella sua norma. Non è vero che Berlusconi ama le donne, le odia, vuole solo possederle, le considera oggetti a sua disposizione. Così come odia i gay, a cui del resto questo governo ha regalato solo qualche atto simbolico senza dare nessun segnale concreto di cambiamento.

Si può obiettare che anche la sinistra non fu capace di fare niente. Ma almeno non si è mai permessa di scendere a livelli così bassi. Non è poco. Perché le parole spesso sono pietre. E le parole di Berlusconi sono pietre che lapidano tutti noi.

C’è anche un’altra evidente chiave di lettura. La frase: meglio amare le belle donne che gay potrebbe essere letta come un riferimento alla contesa elettorale, da una parte Berlusconi dall’altra Nichi Vendola. Un Nichi Vendola che sale nei sondaggi e si afferma nel cuore degli italiani, ma che ancora vede contrapporsi la burocrazia del centrosinistra. Dopo questa dichiarazione di guerra del premier, sarebbe ancora più importante dimostrare che la sinistra è diversa e riconosce il valore delle persone a prescindere dal loro orientamento sessuale. Scegliere Nichi come leader sarebbe un bel segnale. Un modo serio per dire a Berlusconi: è scaduto il tuo tempo, i politici come lei non vincono più


http://www.glialtrionline.it/home/2010/11/02/contro-berlusconi-candidiamo-vendola-subito/